Il nuovo Messale

Il nuovo Messale e l’attenzione alla Liturgia

Finalmente, eccolo! Il nuovo Messale: nella prima S.Messa del Tempo di Avvento, il 28 novembre, inizio del nuovo anno liturgico, farà il suo ingresso nelle nostre celebrazioni.

Per molti si tratterà di una liberazione tanto attesa: potremo e dovremo finalmente pregare insieme il Padre Nostro con la nuova formulazione “e fa’ che non cadiamo in tentazione”. Ma non sarà l’unica novità!

I più attenti alla Liturgia e ai temi ecclesiali di sostanza hanno già cominciato ad approfondire il perché di una nuova edizione del Messale ed hanno compreso che si tratta di qualcosa di più di un semplice restiling  editoriale. Il Nuovo Messale è in verità la terza revisione italiana, susseguente la terza revisione del Missale Romanum. Editio typica, avvenuta nel 2003, e la pubblicazione della nuova traduzione italiana della Bibbia CEI, quella propria per la Liturgia, avvenuta nel 2008. Non siamo quindi davanti a una ristrutturazione della liturgia celebrativa così come avvenne con il Concilio Vaticano II, quando il Messale cosiddetto “di san Pio V” venne sostituito da quello “di Paolo VI”, ora anch’egli canonizzato (bello che fossero accomunati dal riconoscimento di santità due papi promulgatori di due Messali ritenuti da molti “antitetici”, anziché semplicemente “diversi”).

Al termine delle Messe del 28 e 29 novembre avremo la possibilità di dotarci di uno strumento per conoscere e comprendere le varie revisioni che sono state effettuate con questo testo: ci verrà messo a disposizione un lavoro di don Paolo Tomatis, responsabile dell’Ufficio Liturgico, che col suo consueto linguaggio pacato e sapiente ci farà penetrare passo passo nelle varie novità introdotte. Ma, forse, la vera novità per il nostro tempo è legata alla possibilità di ridare valore al momento celebrativo dell’esperienza della fede cristiana. È su questo che vorrei motivare un po’ tutti.

Tra le tante dimensioni del vivere cristiano c’è infatti la Liturgia, il momento in cui l’esperienza della fede diventa celebrazione e memoria. La fede è prassi, moralità, dottrina, carità, ma è anche liturgia: azione celebrativa di un popolo che è convocato, si raduna, celebra il gesto memoriale che il Signore gli ha chiesto di compiere. 

La Liturgia è altro dalla preghiera personale. Molti, spesso polemicamente, mettono queste due forme d’orazione in contrapposizione, parteggiando per la seconda. Che siano due linguaggi diversi è assolutamente vero: la prima si esprime in formule codificate, l’altra è spontanea; l’una si snoda secondo un ritmo preciso, l’altra vive di improvvisazione; l’una è uguale per tutti, la seconda è per ognuno la propria; la prima è da celebrarsi per lo più in un luogo appropriato, la seconda si può vivere ovunque; etc. Eppure nel cristianesimo liturgia e preghiera personale sono complementari e legate: la prima inaridisce se non crea un riverbero personale nel singolo fedele, mentre la seconda rischia di non vivere come risposta al Signore Gesù, se non ne ascolta continuamente il richiamo nel momento liturgico.

La liturgia cristiana è il gesto di un popolo di discepoli del Signore. Quel popolo che è il vero obiettivo della sequela di Gesù iniziata nell’incontro personale con lui. In tal senso bisogna sempre precisarsi questo: la preghiera è possibile ad ogni uomo; ma quando essa vuole diventare l’espressione di un rapporto con Gesù, deve assumere la forma che Gesù le vuole imprimere ed evolvere ad essere il linguaggio del discepolo. Ai suoi discepoli che lo seguivano Gesù ha insegnato una preghiera, quella stessa che viene consegnata nel Battesimo: non ha detto loro di pregare come volevano, ha detto loro di pregare come diceva Lui, se volevano seguire Lui, se volevano essere suoi discepoli! Il discepolo sarà un giorno più grande del maestro, ma prima deve essere discepolo, non opinionista! Il cristiano è uno che segue, uno che impara, uno che fa crescere la sua dimensione personale nella dimensione che Gesù e il suo Vangelo aprono davanti a lui! “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”, dice san Paolo! Non sono più io: eppure, io vivo, in Cristo.

La Liturgia è un miracolo perché è un miracolo che ci sia un insieme di individui che insieme ascoltano, cantano, parlano, pregano, si muovono. Nella vita siamo molto emozionati da tutta una serie di fatti collettivi in cui vediamo il miracolo dell’agire come un popolo: gli All Blacks, le band dei ragazzini coreani, le espressioni dei balli di gruppo bretoni e irlandesi, i gospel afro-americani, il calcio fatto bene. Anche la Liturgia cristiana è questo miracolo di unità: l’unità formale del dire tutti le stesse parole e compiere gli stessi gesti, l’unità sostanziale della lode all’unico Signore che ci ha conquistati e messi insieme.

La Liturgia fa crescere la nostra fede personale. La fa evolvere dall’essere una esperienza quasi egoistica, e la fa diventare una vera apertura, dove la lode a Dio si fonde con la disponibilità all’ascolto e alla sequela.

Per questo è proprio necessaria per un vero seguace del Vangelo, seguace di Gesù Cristo.

Don Alberto

 

Raccogliamo qui tutte le riflessioni sul Nuovo Messale che ci stanno accompagnando in questi mesi a cura della Commissione Liturgica.

1. Le formule nel nuovo Messale 

(dal Foglio Avvisi Parrocchiali – Tempo Ordinario Gennaio-Febbraio 2021)

Come Commissione Liturgica, vorremmo proseguire nel discorso sull’ingresso del “Nuovo Messale”, già iniziato dal nostro parroco nel giornalino parrocchiale stampato all’inizio del periodo di Avvento, per proporre a tutta la Comunità un percorso a tappe di “meditazione” e “approfondimento” di ciascuno degli elementi di novità, al fine di scoprirne il senso più autentico. Riteniamo sia cosa importante e gradita a quanti, come noi, pensano che la celebrazione eucaristica non sia fine a se stessa, ma il culmine della vita cristiana, e che ogni comunità si debba riappropriare della sua responsabilità e riscoprirne la bellezza come fondamentale nutrimento del cammino di fede. Riportare cioè la liturgia al centro della formazione cristiana.

Questa terza edizione del Messale deve diventare quindi l’occasione per non pensare più ad un “libro nelle mani del sacerdote” ma come uno “strumento” cui attingere per alimentare la propria crescita personale nella partecipazione attiva alla Liturgia e per la crescita di tutta la comunità.

“Libro di preghiera e insieme modello di preghiera”

Il “nuovo” Messale è sicuramente nuovo come formato, come immagini, ma è figlio della precedente edizione italiana del 1983. Questa nuova edizione è stata motivata dall’esigenza di inserire nuovi formulari, nuove preghiere, nuovi e più precisi criteri per la traduzione più letterale dei testi liturgici… insomma, riportare alla luce ricchezze abbandonate nel corso del tempo ma usando un linguaggio che possa rendere il tutto più inclusivo e più vicino alla contemporaneità. Come si può ben capire non si tratta quindi di novità nei contenuti quanto di diventare un deposito, uno “scrigno” prezioso che custodisce gli elementi per la formazione di tutto il popolo di Dio: per essere Chiesa.

Nel giornalino parrocchiale che uscirà ad ogni cambio di tempo liturgico durante l’anno, troverete quindi un articolo in cui saranno sottolineati uno alla volta i vari cambiamenti. Si tratterà di un macro-argomento che verrà poi approfondito di domenica in domenica, per essere meglio compreso ed interiorizzato.

Quello che immediatamente si rende più visibile è la variazione di alcune parole all’interno delle formule inserite nella celebrazione eucaristica ed è da questo punto che vorremmo partire: le NUOVE FORMULE PER L’ASSEMBLEA.

Kyrie

Iniziamo con una prima novità, quella che riguarda il Kyrie Eleison.

Nel Messale del 1983 si invitava a dire o a cantare, dopo l’Atto Penitenziale, “Signore, pietà”, “Cristo, pietà”, “Signore, pietà” dando la possibilità di sostituire il testo italiano con il greco “Kyrie eleison”, “Christe eleison”, “Kyrie eleison”. Anche là dove il “Signore pietà” entra nell’atto penitenziale la formula in italiano era preferita a quella in greco per ovvie esigenze di comprensibilità. Ora nella nuova edizione, sia nella triplice litania dopo l’atto penitenziale, sia nella terza forma dell’atto penitenziale, si trova prima la preghiera in greco e poi la possibilità di recitarla o cantarla in italiano. Sembrerebbe a prima vista una novità negativa, ma il ritrovare il suono originale di questa preghiera in greco non solo mette in comunione con le liturgie dell’oriente di ieri e di oggi ma fa risuonare nella lingua in cui furono scritti i Vangeli una supplica che difficilmente riesce a rendere nella traduzione italiana la dimensione della misericordia. Questa supplica cerca la ripetizione litanica e cerca l’immagine del Signore misericordioso verso cui orientarsi insieme, presidente e assemblea. La vera sfida è dunque quella di trasformare un testo in un gesto di supplica e orientazione dell’assemblea orante. Dietro questa scelta sta la coscienza del fatto che nella Messa già normalmente si parla in lingue. C’è l’ebraico quando cantiamo “Alleluia” (che significa letteralmente “lodate Dio), “Amen (è vero, è così, così sia), “osanna” (dona la salvezza). C’è il latino quando si dice “Miserere nobis” o “Gloria in excelsis Deo”….

Gloria

A differenza di altri testi, come per es. il Padre Nostro, per l’inno del Gloria si è compiuta una scelta diversa di traduzione. Alla frase “e pace in terra agli uomini di buona volontà” che sarebbe dovuta diventare, in linea con la nuova traduzione della Bibbia CEI “e pace in terra agli uomini che egli ama”, si è preferito avere un’attenzione particolare alla cantabilità optando per “e pace in terra agli uomini amati dal Signore”.

Fratelli e sorelle

La coppia “fratelli e sorelle”, già presente nel Messale Romano del 1983 per es. nella monizione dell’atto penitenziale, ora la ritroviamo ogni volta ci si rivolge all’assemblea come “fratelli”: nel “Confesso”, nei riti di presentazione dei doni, nella Veglia pasquale, nella stessa Preghiera eucaristica là dove si ricordano i defunti. Si tratta di un’attenzione rivolta alle esigenze di un linguaggio inclusivo della varietà dei generi, maschile e femminile. Questa attenzione è una caratteristica del nostro tempo, che avverte l’esigenza di superare una cultura ancora troppo sessista e maschilista. Vuole essere, nella nuova edizione, come un pro-memoria, perché la voce della liturgia sia una voce capace di unire le differenze: di genere, di cultura, di età, di etnia, di ceto sociale ecc…, senza annullarle, ignorarle o appiattirle.

Padre Nostro

Nella preghiera del Padre Nostro si è fatta corrispondere la preghiera liturgica con la nuova traduzione della Bibbia CEI che riporta due cambiamenti: il primo è l’aggiunta di un “anche” nella frase che dice “rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori” e il secondo è “non abbandonarci alla tentazione”. Nel primo caso si è cercato di garantire una maggiore fedeltà al testo originale greco e alla sua traduzione latina, mentre nel secondo caso si è utilizzato un criterio più di tipo pastorale. Molte sono state le discussioni e le proposte prima di proseguire a quest’ultimo cambiamento ma alla fine si è deciso per il “non abbandonarci” pensando di chiedere semplicemente, nella supplica, che il Padre ci sia sempre a fianco quando stiamo per entrare o già ci troviamo nella tentazione. Non è una traduzione che ha soddisfatto pienamente tutti perché tante erano state le varianti pensate dai vari “esperti” ma la Conferenza dei vescovi italiani ha accolto questa versione come quella finale pensando di rimanere fedele al modo di pregare della Chiesa e coscienti di quanto ogni traduzione abbia bisogno di una interpretazione.

Dono della pace

L’invito che in precedenza veniva chiamato “segno della pace” è stato cambiato con la monizione “scambiatevi il dono della pace “. Il linguaggio del dono, che racchiude il senso profondo del Mistero eucaristico, sottolinea il fatto che prima di essere un compito e impegno, la pace del Signore è un dono che proviene da Lui. Si invita alla sobrietà di questo gesto che è posto all’interno dei riti di comunione e precisamente prima della presentazione dei doni e si deve limitare alle persone che ci sono più vicino. Per esprimere il suo significato più profondo ci si affida alla logica del simbolo, alla capacità cioè di mostrare il livello più profondo del senso di un gesto attraverso una economia di sobrietà (così come per es. nel battesimo, il bagno è evocato solo da un po’ di acqua). Lo scambio della pace rivolto a pochi è simbolo di un dono che ci scambiamo come proveniente dal Signore, destinato a tutti. 

2. Collette alternative

(Dal Foglio Avvisi Parrocchiale – Tempo di Quaresima Febbraio-Marzo 2021)

Proseguiamo il nostro percorso di meditazione a tappe sulla nuova edizione del Messale Romano e questa volta approfondiamo un argomento che forse conosciamo appena o sul quale non sempre abbiamo posto la dovuta attenzione: le collette, e in particolare quelle “alternative”.

Per “colletta”, nel linguaggio ecclesiastico si indicava, anticamente, l’adunanza liturgica del popolo e il luogo di riunione dei fedeli, quindi anche la preghiera recitata al popolo raccolto per la celebrazione della messa; di qui, la parola è passata ad indicare, dal 9° secolo, la prima orazione collettiva della messa.

Nella liturgia odierna, la colletta è quella preghiera che porta a compimento il percorso dei riti di ingresso della celebrazione Eucaristica e raccoglie la preghiera di tutti i presenti (da qui il nome “colletta”) nell’unica preghiera della chiesa. Dopo il Kyrie Eleison o il canto del Gloria, il sacerdote dice: “Preghiamo” e sosta per un momento di silenzio e raccoglimento, prima di recitare la preghiera rivolta al Padre, a nome di tutti. Il popolo prende parte attiva facendo propria l’orazione con l’acclamazione AMEN, al termine di quanto pronunciato dal presbìtero.

Questo testo solenne esprime con maggiore precisione il motivo della lode già introdotto dall’antifona o dal canto d’ingresso e purificata dall’atto penitenziale, dalla litania kyriale e dall’inno del Gloria. Inoltre, orienta la preghiera dell’assemblea su alcune domande specifiche, proprio mentre accoglie e raccoglie quelle personali; il suo stesso nome (dal verbo latino colligo, legare insieme) riafferma la consapevolezza di essere noi stessi raccolti insieme dal Signore, già espressa dal segno di croce e dal saluto. Apre poi a tutto ciò che seguirà: introducendo alla liturgia della Parola perché ne anticipa i temi fondamentali e ne fornisce una chiave d’interpretazione.

Nel momento della colletta, per le braccia spalancate del sacerdote, passano tutte le nostre preghiere personali che possono salire al Padre per la mediazione perfetta di Gesù Salvatore. Per questo, dopo l’invito presidenziale “Preghiamo”, è necessario che trascorra un breve spazio di silenzio in cui ciascuno possa formulare interiormente la sua richiesta che poi ritroverà nella preghiera che il sacerdote pronuncerà ad alta voce. E la ritroverà certamente: ogni membro dell’assemblea liturgica impara così a ritrovarsi in quello che fa e dice la Chiesa, ad identificarsi con la sposa di Cristo.

Insieme a quella di offertorio e a quella dopo la comunione, la colletta è una delle tre orazioni che scandiscono la Messa. Il termine “orazione” viene dal latino “ratio oris”, due parole che messe insieme fanno pensare ad un discorso ben fatto: la preghiera della Chiesa ci insegna a dialogare con Dio e, come una mamma, la chiesa ci insegna a parlare; noi balbettiamo e lei interpreta i nostri balbettii e li esprime in modo corretto ed accordato alla vita del Signore che celebriamo.

Già nel Messale precedente erano presenti una serie di collette dette “alternative” perché poste in Appendice ed utilizzabili nelle domeniche dei Tempi forti e del Tempo ordinario, per le principali solennità del Signore, oltre che per le ferie del tempo ordinario e per il comune della Beata Vergine Maria.

La revisione di tali collette alternative con la nuova edizione del Messale Romano ha avuto per i vescovi il duplice obiettivo pastorale di mantenere il venerando patrimonio della tradizione latina, pur con nuovi testi (riproposti sempre in Appendice) e arricchire i temi della preghiera comunitaria.

Arricchimento che si svolge in due direzioni:

  • UNA PREGHIERA PIÙ ADERENTE ALLA PAROLA

Collegata in modo sistematico ed organico alle letture bibliche del giorno, la colletta esprime ed anticipa il carattere della celebrazione, secondo il ciclo triennale del Lezionario, le solennità, i cosiddetti tempi forti (Avvento, Natale, Quaresima, Pasqua), le celebrazioni mariane e per i giorni feriali del Tempo Ordinario.

  • UNA PREGHIERA PIÙ VICINA ALLA VITA (nel linguaggio utilizzato e nel riferimento alla dimensione antropologica della fede)

Non si è proceduto a una pura riscrittura ex novo delle antiche collette alternative ma ad un lavoro sul linguaggio attraverso l’alleggerimento dei periodi, la semplificazione dei contenuti, la sottolineatura con maggior chiarezza del Vangelo proclamato affinché si rendesse la colletta una vera azione capace di raccogliere la preghiera dei singoli in una preghiera ascoltabile e pregabile da tutta l’assemblea.

La revisione operata sulle collette alternative è il segno di una nuova fase della recezione della riforma liturgica, meno didascalica e verbosa e più attenta all’arte di celebrare, in questo caso l’arte di comporre una preghiera destinata a non essere semplicemente letta ma pregata oralmente dall’assemblea riunita.

3. Il nuovo Messale: il canto nelle celebrazioni

(Dal Foglio Avvisi Parrocchiale – Settimana Santa e Tempo di Pasqua 2021)

Nella Sacrosantum Concilium n. 113 si legge: «L’azione liturgica riveste una forma più nobile quando i divini uffici sono celebrati solennemente con il canto, con i sacri ministri e la partecipazione attiva del popolo».

Tra le novità della nuova edizione del Messale Romano, ce n’è una che riguarda le parti musicali e, più precisamente, il canto, argomento che andremo ad approfondire in questo tempo Pasquale. 

Il canto è espressione tipica dell’uomo ed anche nella liturgia è parte integrante di essa, perché la musica contribuisce alla manifestazione del Mistero. Il canto sgorga dalla gioia del cuore, da un animo gioioso che, nella fede, si dona al Signore. È una manifestazione di sé, del proprio essere interiore. E la musica e il canto, nella Liturgia, assumono una valenza unica secondo le parole di Pio XII nell’enciclica “Musicæ sacræ” disciplina del 1955: “la musica sacra, rispetto all’architettura, alla pittura e alla scultura, occupa un posto di primaria importanza nello svolgimento dei riti sacri.”

Allora ecco perché cantare nella liturgia non è un contorno o un abbellimento facoltativo, un “di più” per i patiti della musica. Il canto nella liturgia è la voce della Chiesa, Sposa di Cristo, che si unisce al canto dello Sposo in un solo Spirito per “cantare” le nozze dell’Agnello, festa senza fine cui siamo tutti invitati purché indossiamo l’abito nuziale (cf Mt 22,11-12). 

Siamo forse davvero poco educati a questa meravigliosa dimensione del nostro animo; nella liturgia, il canto, dona maggiormente forza alla preghiera e il canto stesso diventa preghiera.  Proprio in quest’ottica s’intuisce il significato dell’immagine posta in apertura della sezione “Melodie” del nuovo messale: l’illustrazione di Domenico Paladino (autore di tutte le immagini presenti nel Messale) rappresenta l’armonia della musica che entrando dall’orecchio dell’ascoltatore si trasforma in canto, in uscita dalla sua bocca, come strumento di lode a Dio.

1   «Cantate al Signore un canto nuovo»: Melodie

Mimmo Paladino, in tutte le immagini presenti nel Messale, ha voluto evocare “un mondo che non può dirsi definitivo – dice – che di volta in volta si apre e si rinnova e che contiene sempre qualcosa di sorprendente”.

In questa immagine Paladino ha scelto di richiamare in poche linee da un lato la metafora per cui il canto è paragonabile al “multiforme Spirito” di Dio (e dunque da questo deve lasciarsi ispirare); dall’altro al rapporto tra parola e ascolto, per cui («La fede viene dall’ascolto» [Rom 10,17]) un buon canto liturgico ha veramente il potere di far crescere i fedeli nella propria fede.

La grande novità che riguarda il canto in questa nuova edizione del Messale è che le melodie ora non sono in Appendice ma la partitura è stata messa dentro il corpo del testo del Messale, a indicare che il canto non è un accessorio, ma un elemento integrante e autentico dell’azione liturgica in corso; non è “peculiarità di chi sa cantare”, ma naturale forma della lode di ogni fedele che sia coinvolto nel profondo da ciò che sta accadendo.

Anche il canto del celebrante ha il preciso scopo di favorire la partecipazione dell’assemblea, suscitandone le risposte, come ad esempio l’Amen alle orazioni e alla dossologia (“Per Cristo, con Cristo, in Cristo…”) della Preghiera Eucaristica.

Rispetto alle altre nazioni e culture, in Italia fino ad oggi si sono cantate poco le parti rituali della Messa. In Spagna, in Romania, in Africa come negli Stati Uniti, si sente invece molto più spesso il sacerdote intonare una melodia durante la celebrazione e, se ci è capitato di assistervi, possiamo rilevare come le preghiere, se accompagnate dal canto, risuonino con una “carica” diversa e la partecipazione di tutti i presenti è sentita come una vibrazione quasi tangibile!

Questa novità nella nuova versione del messale rappresenta un’opportunità per riscoprire la ricchezza e l’importanza del canto (del celebrante e di tutti) e suggerisce di intraprendere cammini di formazione liturgico-musicale che conducano a una vera ars celebrandi.

Cantare con arte richiede, in effetti, un grande investimento di tempo ed energie, ma è fondamentale curarne la bellezza perché il canto ha un’incidenza molto forte rispetto alle sole parole. Il canto è capace di coinvolge le persone e l’assemblea, come nient’altro può fare. 

Si invitano pertanto le comunità locali anche a fare catechesi a partire dai testi dei canti stessi, a spendere tempo per le prove e preparare i musicisti, usufruire delle risorse che la Chiesa italiana mette a disposizione. Per questo, ogni anno, sono organizzati corsi di formazione per animatore liturgico-musicale online della CEI, o corsi di perfezionamento musicale dove vengono offerte delle competenze a livello liturgico-musicale che permettono ai musicisti delle diocesi di formare l’assemblea affinché il canto venga incentivato e valorizzato. Si deve considerare, infatti, che la Chiesa è, sotto questo aspetto, custode di tradizioni antichissime. Nel canto della Chiesa sopravvivono spiritualità di altre epoche più che altrove.

In tutti gli ambiti ci sono correnti di rinnovamento continue, così anche nella Chiesa nuovi canti succedono ai “vecchi”, che però, naturalmente, al nuovo soccombono e passano, decadono. Tra essi però, ci sono canti che la Chiesa fissa e fa permanere nel tempo. Canti non necessariamente bellissimi, ma che perpetuano dei contenuti lungo i secoli, anche solo con la musica, per giungere fino a noi pressoché intatti.

Pensiamo a certi canti gregoriani, al Salve Regina, Adeste Fideles, ma anche canti più recenti e comunque “storici” come Tu sei la mia vita…

A partire da queste riflessioni, nella nostra comunità, già da diverso tempo, quanti sono impegnati nella cura dell’animazione musicale delle celebrazioni, stanno cercando di mettere un po’ di ordine nel repertorio e nella modalità di esecuzione, per aderire sempre più a quell’assunto già citato tante volte secondo il quale chi canta prega due volte. Ancora di più, alla luce di questi incoraggiamenti da parte della nuova edizione del Messale, ci sentiamo sulla strada giusta.

Non si tratta, però, di arrivare a cantare di più la Messa, oppure di ritornare alla “Messa cantata” del passato. Come detto più volte, approfondire l’argomento del canto sta nell’ottica di riconoscergli la capacità di dare maggior rilievo alle parole per innalzare la mente e il cuore della comunità e raggiungere l’esperienza profonda del mistero celebrato.

Nel nuovo Messale sono state inserite le melodie per il segno della croce, per il saluto, per i primi prefazi dei diversi Tempi e solennità (Avvento, Natale, Epifania, Quaresima, Pasqua, Ascensione e domeniche del Tempo ordinario). Sono stati anche musicati i testi dell’anamnesi (“Annunziamo la tua morte Signore…”), della dossologia finale della Preghiera eucaristica (“Per Cristo, con Cristo, in Cristo…”), del Padre Nostro, dell’acclamazione “Tuo è il regno…”, della pace (“Scambiatevi il dono della pace”), del saluto finale, della benedizione e del congedo (“Andate in pace”; “Rendiamo grazie a Dio”).

A partire da questo tempo Pasquale quindi, saremo invitati a rispondere in canto alle invocazioni del sacerdote. La finalità è arrivare ad essere in un certo senso “abituati alla sonorità” del Nuovo Messale per cui, quando in futuro il sacerdote (o il coro) proponesse una certa formula “dialogata” in canto (per sottolinearne l’importanza o la peculiarità in un determinato momento), possa esserci la libertà di farlo perché l’assemblea è preparata alla replica adeguata.

A tale riguardo nel libretto dei canti per il tempo pasquale verrà inserito (analogamente a quanto è stato fatto per le nuove formule delle preghiere del Padre Nostro, del Gloria e del Confesso) un foglio ad hoc in cui saranno raccolti tutti i dialoghi cantati che verranno proposti nelle prossime celebrazioni, come esercitazione. 

4. Il nuovo Messale. Le due colonne portanti dei Riti di Conclusione: benedizione e congedo

(Dal Foglio Avvisi Parrocchiale – Tempo Ordinario Maggio – Settembre 2021)

Le due colonne portanti dei Riti di Conclusione della Messa sono la benedizione ed il congedo. Nella Sacra Scrittura, la parola «benedire/benedizione» ha un significato molto ampio. Nell’ebraico dell’Antico Testamento, la radice brk indica la fortuna di quegli uomini a cui tutto riesce, ma indica anche la fecondità, l’abbondanza, la ricchezza e persino l’umidità delle nuvole (vera e propria ricchezza e benedizione nel deserto!). Oltre a questi significati, brk viene usata nel senso verbale di «rendere omaggio», «lodare», «glorificare», «esprimere riconoscenza» e anche «parlare bene di qualcuno». Infine, siccome in Israele qualsiasi saluto era un augurio di benedizione, brk significa anche semplicemente «salutare». Il significato più vicino al nostro modo di intendere la «benedizione», si trova espressa nei testi che trattano di auguri di benedizione dei padri ai figli, o dei sacerdoti ai partecipanti del culto, o ancora riguardo a promesse fatte da Dio in favore degli uomini. Si trovano anche formule liturgiche fisse, come si legge ad es. in Nm 6,23-26.

Nell’Antico Testamento, la benedizione, al pari della maledizione, ha una forza che realizza quanto le parole esprimono. Ad esempio, «benedizione» è una forza che si trasmette a qualcuno mediante l’imposizione delle mani (cf. Gen 48,14.17) o pronunciando una parola su qualcuno (cf. Gen 27,27-29; 49,1-28). Una volta ricevuta mediante la benedizione, la forza non può essere tolta da un uomo (cf. Gen 27,33.35). Anche quando Dio non viene esplicitamente menzionato, è sempre sottinteso che la forza della benedizione viene da lui. 

Il Nuovo Testamento fa propri gli usi e le concezioni della benedizione anticotestamentaria e giudaica. La Lettera agli Ebrei ricorda la benedizione di Melchisedec ad Abramo e quella di Isacco a Giacobbe. Secondo san Paolo, la benedizione divina ad Abramo giunge anche a coloro che non sono sua discendenza per via carnale: necessaria, però, è la fede (cf. Gal 3,8-9). Interessante è ancora un’altra annotazione di Ebrei che, prendendo spunto dalla benedizione di Melchisedec, nota che «senza dubbio è l’inferiore che è benedetto dal superiore» (Eb 7,7): quindi, chi benedice è stato costituito da Dio in una posizione superiore rispetto a colui che è benedetto. Gesù stesso benedice mediante imposizione delle mani: i bambini e i discepoli. Rileggendo la vita di Gesù dopo la risurrezione, san Pietro dirà che Dio ha mandato il Figlio a benedirci (cf. At 3,26) e san Paolo preciserà che si tratta di una eulogía pneumatikè, una benedizione spirituale (Ef 1,3). Il cristiano è chiamato a imitare Cristo e a benedire sempre: «Benedite (anche) coloro che vi maledicono».

Da questi elementi biblici discende l’uso liturgico cristiano di benedire, che ha il significato di «chiedere a Dio i suoi doni sulle sue creature, e rendergli grazie per i doni già ricevuti». A livello rituale, la benedizione si compie con l’imposizione delle mani sui singoli oppure, per le assemblee, allargando le braccia e rivolgendo le palme delle mani sui presenti. Il segno cristiano di benedizione per eccellenza è però il segno della croce e perciò giustamente il Rito Romano fa iniziare e concludere l’Eucaristia con questo segno.

«”Diventerai una benedizione”, aveva detto Dio ad Abramo al principio della storia della salvezza (Gen 12,2). In Cristo, figlio di Abramo, questa parola è pienamente compiuta. Egli è benedizione per l’intera creazione e per tutti gli uomini. La croce, che è il suo segno nel cielo e sulla terra, doveva dunque diventare il vero gesto di benedizione dei cristiani».

Al termine della Messa, la benedizione può svolgersi in diversi modi: come benedizione semplice, come tripla benedizione solenne, o come preghiera di benedizione sul popolo.

Il sacerdote celebrante deve tener presente il ruolo di mediatore che egli svolge anche nell’impartire ai fedeli la benedizione finale della Messa, che non è solo un atto dovuto, o un modo come un altro per concludere la celebrazione. Nella benedizione finale (come in tutta la Messa) si incrociano due dinamiche: quella dal basso, per la quale l’uomo rende grazie a Dio, «bene-dice» Dio per i doni già ricevuti; e quella dall’alto, per cui Dio stesso effonde i suoi beni sui fedeli. Il sacerdote è proprio al centro di questo flusso di preghiera e di grazia.

Dalla natura teologica della benedizione conclusiva, deriva anche il carattere proprio del congedo. Anche qui non si tratta semplicemente di un saluto di cortesia ai presenti, ma dell’esplicitazione di un mistero di grazia. Benedetto XVI ci ricorda che nel saluto «Ite, missa est», «ci è dato di cogliere il rapporto tra la Messa celebrata e la missione cristiana nel mondo. Nell’antichità “missa” significava semplicemente “dimissione”. Tuttavia essa ha trovato nell’uso cristiano un significato sempre più profondo. L’espressione “dimissione”, in realtà, si trasforma in “missione”. Questo saluto esprime sinteticamente la natura missionaria della Chiesa. Pertanto, è bene aiutare il popolo di Dio ad approfondire questa dimensione costitutiva della vita ecclesiale, traendone spunto dalla liturgia».

Il congedo da parte del sacerdote costituisce, pertanto, un ultimo ammonimento a vivere ciò che si è celebrato. Si tratta di custodire la grazia ricevuta nel sacramento, affinché porti frutti nella vita cristiana di ogni giorno. Perciò con il tema del congedo è collegato il grande tema del rapporto tra liturgia ed etica, intendendo quest’ultima nel senso più ampio possibile (vita morale nella carità, testimonianza, annuncio, missione, martirio). Il fatto che il congedo non sia a sé stante, ma che sia collegato e derivi dalla benedizione, ci dice che in questo impegno non siamo soli: il Signore ci accompagna ed «opera con noi» (cf. Mc 16,20) e perciò la nostra vita può essere il «culto logico» gradito a Dio (cf. Rm 12,1-2; 1Pt 2,5). «Il congedo, atto presidenziale, dichiara sciolta l’assemblea. Come ci si raduna su convocazione divina (Rm 8,30), così il presidente, che agisce “in persona Christi”, invia i fedeli alle azioni usuali della vita, per compierle in modo nuovo, trasformandole in materiale di salvezza; perciò l’assemblea risponde: “Rendiamo grazie a Dio”».

Conclusioni e prospettive

Alla revisione dei Riti di Conclusione operata dal Nuovo Messale corrisponde una novità, riguardante le cosiddette orazioni super populum nelle ferie quaresimali.

Di che si tratta? Questo tipo di preghiere era già presente nell’edizione italiana del 1983, in una raccolta di 28 orazioni sul popolo poste dopo le benedizioni solenni che chiudevano il cosiddetto Ordo missae. Si tratta di antiche preghiere, presenti già nei primi sacramentari in aggiunta alla preghiera dopo la comunione, e riprese dal Messale di Pio V (1570) come preghiere di benedizione finale nel tempo quaresimale. La loro particolarità è che, a differenza delle altre orazioni in cui colui che presiede include se stesso nella domanda a nome dell’assemblea (“Donaci o Signore”, “Fa’ che noi”…), qui il presidente si rivolge a Dio per richiedere la sua benedizione a favore dell’assemblea (“Illumina, proteggi, benedici il tuo popolo”…). Queste invocazioni, che possono essere fatte ad libitum cioè a scelta (ma di domenica sono obbligatorie), assomigliano per certi aspetti alle suppliche rivolte allo Spirito a Pentecoste: infatti nella rubrica si chiede al sacerdote di stendere le mani durante la preghiera, con chiaro significato di epiclesi, cioè di invocazione dello Spirito.

Se dunque, dal punto di vista della struttura, queste preghiere assomigliano all’orazione precedente (dopo la comunione), dal punto di vista dei contenuti si tratta di qualcosa di molto diverso, che va più nella direzione di una preghiera che amplifica il gesto della benedizione finale. Sarà premura del celebrante disporre bene la sequenza rituale: monizione (per distinguere le due orazioni: cf OGMR 185: “Inchinatevi per la benedizione”; oppure: “Ricevete ora la benedizione del Signore”; cf MR 71 nel mercoledì delle ceneri) – silenzio – orazione – benedizione (Vi benedica Dio onnipotente…). Infine, le melodie… nello «spartito» della Messa: la riconsiderazione dell’elemento musicale e del gregoriano, con l’inserimento delle notazioni melodiche nel rito e non in appendice: segno di una attenzione alle esigenze di una liturgia meno parlata e più “celebrata”.

5. Il nuovo Messale: la Preghiera Eucaristica

(Dal Foglio Avvisi Parrocchiale – Tempo Ordinario Settembre 2021)

La Preghiera Eucaristica o azione di grazie è una preghiera composita e complessa ed è il momento culminante di tutta la celebrazione Eucaristica. La Liturgia della Parola avvenuta poco prima (1^ mensa) è come se stesse domandando compimento e ci spingesse verso questo momento che diventa il momento centrale per tutti i presenti.

Al comando del Signore dato nell’Ultima Cena, “Fate questo in memoria di me”, «obbediamo celebrando il memoriale del suo sacrificio. Facendo questo, offriamo al Padre ciò che Egli stesso ci ha dato: i doni della creazione, il pane e il vino, diventati, per la potenza dello Spirito Santo e per le parole di Cristo, il Corpo e il Sangue di Cristo: in questo modo Cristo è reso realmente e misteriosamente presente» (CCC 1357). 

La preghiera eucaristica è una preghiera presidenziale, che il sacerdote, in virtù della ministerialità della sua presidenza, proclama a nome di tutti ed è sempre rivolta al Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo.

Ha una struttura composta da vari elementi:

1) l’azione di grazie, 

2) l’acclamazione Sanctus, 

3) l’epiclesi, 

4) il racconto dell’istituzione, 

5) l’anamnesi, 

6) l’offerta, 

7) le intercessioni, 

8) la dossologia finale.

1) L’azione di grazie 

Questo elemento o dimensione è espresso soprattutto nel prefazio, che, dal latino praefari, significa “pronunciare prima di”. Il prefazio è la parte della preghiera eucaristica che precede quella più canonica, rappresentata dal racconto istituzionale: esso mette in luce l’aspetto pubblico e solenne della lode ed esprime in modo più puntuale l’oggetto del rendimento di grazie. Il Prefazio ha quindi un carattere principalmente narrativo e in esso si rende grazie al Padre per le sue meravigliose opere: il creato (creazione), la sua presenza operante nella storia della salvezza (rivelazione) e in particolare nella Pasqua di Cristo (redenzione). L’Ordinamento Generale del Messale Romano (OGMR) precisa che il rendimento di grazie può riguardare tali opere nel loro insieme oppure in un aspetto particolare in riferimento alla festa o al tempo liturgico. 

Il dialogo che dà inizio al prefazio, non solo invita a rendere grazie a Dio, ma dice anche cosa qualifica questo tempo dell’azione di grazie e come deve essere vissuto. 

“Il Signore sia con voi. E con il tuo Spirito”: chi presiede e l’assemblea, per prima cosa, si riconoscono l’un l’altra oggetti della benedizione del Signore, e lo fanno dichiarando che il Signore è in mezzo a loro. Poi si chiede quali sono le disposizioni interiori necessarie all’azione di grazie: “In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore”. In questi diversi dialoghi all’inizio dell’azione di grazie che la tradizione anaforica antica attesta (ana-forica = portare in alto), i fedeli sono invitati a rivolgere al Signore non solo le labbra, ma i cuori, la mente, gli orecchi a significare che il movimento verso Dio coinvolge e trascina tutto il corpo ossia la totalità della persona. 

Il dialogo iniziale del prefazio si conclude con l’ultimo invito: “Rendiamo grazie al Signore nostro Dio” e la risposta “È cosa buona e giusta”. Confessata la presenza del Signore e fatte proprie le giuste disposizioni del cuore, i fedeli sono immediatamente chiamati a rendere grazie al Signore Dio.

 2) L’acclamazione Sanctus

Un secondo elemento della Preghiera eucaristica è l’acclamazione Sanctus, solitamente cantato perché diventa un momento di esplosione di gioia per le opere mirabili compiute da Dio.

Sottolineiamo per questo punto l’allargamento dell’azione di rendimento di grazie dell’assemblea alle creature celesti (Angeli e Arcangeli, Troni e Dominazioni, cori e schiere celesti, i santi): questo rende tangibile la dimensione sacramentale dell’assemblea liturgica, che non è solo la somma delle persone che si trovano in chiesa in quel momento, ma che rappresenta la Chiesa universale. Nel Sanctus si uniscono liturgia visibile e quella invisibile, la liturgia della terra e quella del cielo.

 3) L’epiclesi

Il terzo elemento della Preghiera Eucaristica è l’epiclesi = pregare su…, nella quale si invoca lo Spirito Santo sulle offerte (perché diventino il corpo e il sangue di Cristo) e sull’assemblea che partecipa dei doni per invocare il dono dell’unità (perché i singoli credenti diventino un unico corpo, perché diventino “Chiesa”).  Troviamo queste due preghiere in due punti diversi: prima del racconto dell’Istituzione quella per la trasformazione dei doni e dopo la sezione anamnesi-offerta quella per l’assemblea. In realtà non si tratta di due invocazioni separate o separabili. La trasformazione dei doni, infatti, non è fine a se stessa bensì in vista della trasformazione dell’assemblea, di coloro che parteciperanno del pane e del calice, nel corpo di Cristo. In questo modo le due parti dell’epiclesi concorrono a far emergere come il punto culminante dell’intera celebrazione non si esaurisca con la sola “consacrazione” del pane e del vino, ma si estende nel dare compimento all’offerta unica e decisiva di Gesù Cristo col cercare di diventare anche noi offerta gradita al Padre con la nostra vita.

 4) e 5) Il racconto dell’istituzione e Anamnesi

La Preghiera Eucaristica raggiunge qui il suo vertice. L’efficacia delle parole e dell’azione di Cristo, e la potenza dello Spirito Santo, rendono sacramentalmente presenti sotto le specie del pane e del vino il suo Corpo e il suo Sangue, il suo sacrificio offerto sulla croce una volta per tutte. (CCC 1353). La parola “anamnesi” significa “memoriale”, memoria o ricordo non di ciò che è passato ma di ciò che si rende presente in questo momento: Gesù nella sua ultima cena, consegnandosi volontariamente alla passione prese il pane e rese grazie, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli (ecc…) Il sacrificio compiuto da Cristo una volta per tutte sulla croce rimane sempre attuale e la chiesa che celebra il memoriale commemora specialmente la passione redentrice di Cristo ma anche la sua gloriosa risurrezione e l’ascensione al cielo.

 6) L’offerta del sacrificio

Nel corso del memoriale la Chiesa, in modo particolare quella radunata in quel momento e in quel luogo, offre al Padre nello Spirito Santo la vittima immacolata: essa è Gesù stesso, che attira la nostra gratitudine, il nostro amore a Lui rivolto, la nostra lode. La Chiesa, come sua sposa, desidera tuttavia che i fedeli, davanti a tale offerta purissima, imparino anche ad offrire se stessi e così portino a compimento ogni giorno di più, per mezzo di Cristo Mediatore, la loro unione con Dio e con i fratelli, perché finalmente Dio sia tutto in tutti (cfr. OMGR 79f).

 7) Intercessioni

Le intercessioni sono preghiere per tutta la Chiesa, per i suoi capi, per l’assemblea riunita, ma anche per “tutti i tuoi figli ovunque dispersi” (Preghiera eucaristica III). Così si manifesta che l’offerta che il Cristo ha fatto di sé sulla croce raggiunge tutti gli uomini, ha valore universale. Si tratta di una universalità che non solo si espande nello spazio, nel mondo, comprendendo tutti gli uomini, ma anche nel tempo, raccogliendo anche coloro che ci hanno preceduto nel cammino della fede e che sono già stati associati totalmente all’offerta del Cristo.

 8) Dossologia finale

La Preghiera eucaristica si conclude con la grande dossologia “Per Cristo, con Cristo e in Cristo…” al termine della quale tutti insieme acclamiamo dicendo «Amen», un solenne «sì» a Dio. Nel «grande Amen» proclamiamo di credere in ciò che è stato detto, uniamo noi stessi alla preghiera, ci impegniamo a realizzare ciò che essa significa. La nostra personale professione di fede viene ripresa nell’«Amen» di tutta la comunità ecclesiale radunata per il culto intorno al Cristo crocifisso e risorto. 

Nel nuovo messale: anzitutto rileviamo la sostanziale identità rispetto al precedente.  Piccole modifiche sono avvenute per la volontà di uniformare i testi in base alla nuova traduzione della Sacra Scrittura e mantenere maggiore fedeltà al testo originale, nonché effettuare ritocchi migliorativi in base all’esperienza di questi quasi quarant’anni dall’edizione del 1983 o in coerenza con scelte operate nelle seconde edizioni di altri libri liturgici (Rito del Matrimonio, Rito delle Esequie).

Si distingue tra le prime quattro poste all’interno del Rito della messa (Ordo missae): 

 e le altre cinque più recenti, poste in appendice:   

Merita richiamare alcune delle variazioni che, seppur minime, sono state fatte per esprimere meglio la profondità dei contenuti e la ricchezza dei significati che contengono le singole preghiere: citiamo in particolar modo quelle della II preghiera eucaristica, la più breve e quella più utilizzata soprattutto nei gg feriali, a titolo esemplificativo.

Notiamo una variazione subito dopo il Santo. Là dove si diceva: “Padre veramente santo”, ora si prega: “Veramente santo sei tu, o Padre, fonte di ogni santità”. Il cambiamento è minimo ma collega meglio l’acclamazione del Santo con l’epiclesi, in modo da chiedere la santificazione dei doni in virtù di aver riconosciuto ed acclamato la santità del Padre.

In secondo luogo il riferimento alla “rugiada dello Spirito”: traduzione letterale e più fedele al latino; immagine biblica, segno di benedizione che proviene dall’alto e permea ciò che tocca: terra, popolo, pane, vino; simbolismo notturno invita a pensare alla gratuità dell’azione divina richiamando la manna e non solo.

Altro piccolo cambiamento nelle parole che conducono al racconto dell’istituzione e consacrazione: invece di “Egli, offrendosi liberamente alla sua passione” la nuova versione recita “Egli consegnandosi volontariamente alla passione…”

Nell’Eucarestia celebriamo la consegna di Gesù a noi, il dono perfetto del suo amore e del suo sacrificio.

Altri due piccoli interventi nella II preghiera eucaristica sono: al posto di “Ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale”, ora sentiamo “Ti rendiamo grazie perché ci hai resi degni di stare alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale”; e al posto di “[…] in unione con il nostro vescovo… e tutto l’ordine sacerdotale”, troviamo “con il nostro vescovo, i presbiteri e i diaconi”.

 Invitiamo ad approfondire i piccoli cambiamenti che riguardano tutte le altre preghiere eucaristiche e non solo, che hanno caratterizzato le celebrazioni dallo scorso tempo di Avvento e che, tutti insieme, formano l’oggetto dei nostri approfondimenti liturgici.

 La preghiera eucaristica non è solo il cuore della messa, ma è anche un eccellente modello di preghiera cristiana, in tutte le sue articolazioni, quelle “verticali” con l’interlocutore divino, e quelle orizzontali con gli interlocutori umani. Il punto di riferimento della preghiera eucaristica non è un generico “Dio” ma il Padre, Colui che invia il suo Spirito perché ci sia donato il Figlio; ed è pure il Figlio, che abilitandoci ad essere suoi fratelli, ci riporta al Padre come offerta di lode a Lui gradita. L’uomo entrando in relazione con Dio entra nelle sue relazioni divine e vi viene profondamente coinvolto.

6. Il nuovo Messale: il Silenzio

(Dal Foglio Avvisi Parrocchiale – Tempo Ordinario Ottobre/Novembre 2021)

In un rapido brainstorming, quante parole evoca il silenzio! Parole a cui possiamo dare accezioni negative o positive.  Ma c’è anche un modo di leggere il silenzio come “gestazione del Mistero”.

Il Mistero, avvolto nel silenzio dei secoli eterni (cfr. Rm 16,25), nascosto nella creazione, si è manifestato agli uomini e si è affidato pazientemente ai nostri Padri nella fede lungo tutto il tempo delle promesse. La sua venuta nella pienezza del tempo si è rivelata nella kenosi (abbassamento) del Verbo incarnato fino all’Ora della Sua Pasqua di morte e resurrezione. In quest’ora, la Parola eterna dell’Amore del Padre si è “ammutolita” per liberare nel segno eloquente del silenzio di Dio la potenza dell’Amore che ha vinto ogni morte. L’Ora della Croce è il tempo in cui Gesù Cristo come Parola fatta carne entra nel silenzio; è il tempo del silenzio del Padre di fronte alla morte del Figlio; è il tempo dell’effusione silenziosa dello Spirito, comunione invisibile dell’amore (cfr. H. Urs von Balthasar, Verbum Caro). 

La Pasqua è l’evento nel quale risplende, nel tacere di ogni parola, l’eloquenza dell’Amore. 

La liturgia celebra il mistero indicibile di Dio. Ogni celebrazione liturgica confessa con le parole e i gesti Colui del quale si può solo tacere”. Il nostro Dio tuttavia, non è un Dio nascosto e inaccessibile, ma un Dio della storia, che continua a comunicarsi agli uomini che ama. Gesù Cristo, ossia LA Parola di Dio, “è uscito dal silenzio” (Ignazio di Antiochia) del Padre e ci ha rivelato il mistero silenzioso dell’Amore di Lui. 

Questa comunicazione continua nelle parole, nei segni, nelle azioni e nel silenzio attraverso i quali il Figlio si rende presente nella liturgia della Chiesa. Come nella storia della salvezza Padre e Figlio sono inseparabili, così nella liturgia parola e silenzio sono sempre compresenti.  I gesti e le parole che ritmano ogni celebrazione liturgica sono alternati da momenti di silenzio. Il silenzio è sempre collocato dopo le parole e le azioni per orientare il senso più vero e più profondo di quelle parole e quei gesti. 

Il silenzio, quindi, alternato alla parola e al gesto, è il respiro delle nostre celebrazioni liturgiche.

Ogni celebrazione “respira” quando è presente un giusto equilibrio fra parola e silenzio, quando le parole proclamate e i gesti compiuti non sono affastellati l’uno sull’altro, ma sono ritmati da momenti di silenzio che permettano di lasciar loro sprigionare tutta la loro forza. 

Il silenzio quindi è parte integrante delle nostre celebrazioni in quanto promuove la partecipazione attiva dell’assemblea (SC 30).

Il silenzio che segue ogni proclamazione della Parola nelle nostre celebrazioni dovrebbe essere quello spazio fecondo dove si rinnova il mistero dell’incontro fra Parola fatta carne e il cuore dell’uomo che crede. Quando la Parola viene proclamata nell’assemblea liturgica, questa toccherà il nostro cuore; chiedendo accesso alla nostra vita, verrà assorbita e assimilata dal cuore e poi ri-espressa o cantata in lode e azione di grazie. Solo il silenzio che accompagna l’ascolto mette in movimento nel credente la potenza dello Spirito. Il cuore del credente nel quale opera lo Spirito diviene così tempio di una nuova liturgia che non è più solo esteriore, ma interiore ed intima: la preghiera. 

Del silenzio abbiamo bisogno “per accogliere nei nostri cuori la piena risonanza della voce dello Spirito Santo, e per unire più strettamente la preghiera personale con la Parola di Dio e con la voce pubblica della Chiesa”. La preghiera silenziosa non è altro che il frutto maturo della liturgia. È lo Spirito che prega in noi. 

È quindi auspicabile un’adeguata educazione al silenzio e all’ascolto per aiutarci a coglierne la presenza e la voce in noi. Ed è lo Spirito, infine, che modella in noi i tratti del Figlio attraverso un progressivo cammino nel quale la sua Parola ci plasma fino alla piena maturità di Cristo in noi, finché tutta la nostra esistenza sia divenuta eucaristia vivente come la Sua.

Dopo aver compreso l’importanza del silenzio liturgico, sarà necessario che tutto all’interno della liturgia ritrovi la nudità e l’essenzialità del suo comunicare: per questo, nella nuova edizione del Messale è stata data grande importanza persino all’impostazione grafica e alla distribuzione dei testi e degli spazi vuoti tra le varie parti. Questo per garantire la migliore leggibilità possibile ma soprattutto per sottolineare la necessità di dare respiro non solo ai testi ma anche alle parole, ai gesti della preghiera liturgica, perché non sia tutto pressato e ogni momento compattato al successivo.

Il linguaggio liturgico è un linguaggio armonioso di alternanza tra pieno e vuoto, tra parola e gesto, tra musica e silenzio, in calmo equilibrio, perché tutto possa essere fruito e vissuto al meglio. In una cornice appropriata, il quadro è più apprezzabile. Allo stesso modo, una preghiera introdotta e conclusa da un tempo “non riempito” è posta in risalto, cosicché iniziare una preghiera dopo un istante di silenzio, favorisce il coglierne l’importanza.

Nell’ordinamento generale del messale romano (OGMR) in diversi punti è esplicitata l’importanza del silenzio come “parte costitutiva” della celebrazione (atto penitenziale, liturgia della Parola, dopo la Comunione…) ed è inserito un punto del tutto nuovo (n. 56) espressamente dedicato al silenzio: “La liturgia della Parola deve essere celebrata in modo da favorire la meditazione; quindi si deve assolutamente evitare ogni forma di fretta che impedisca il raccoglimento. In essa sono opportuni anche brevi momenti di silenzio, adatti all’assemblea radunata, per mezzo dei quali, con l’aiuto dello Spirito Santo, la parola di Dio venga accolta nel cuore e si prepari la risposta con la preghiera. Questi momenti di silenzio si possono osservare, ad esempio, prima che inizi la stessa Liturgia della Parola, dopo la prima e la seconda lettura e terminata l’omelia”.

Al n.45 dello stesso OGMR si legge l’invito a sostare in silenzio anche prima dell’inizio della stessa celebrazione liturgica, in un tempo in cui invocare la conversione del cuore e prepararsi per incontrare il Signore. Così come è bene pregare nel silenzio dopo la comunione e al termine della celebrazione, in atteggiamento di lode e riconoscenza, perché si prolunghi nelle opere la grazia appena vissuta.

L’iniziazione al silenzio è qualcosa che deve avvenire in modo graduale e naturale: più che aggiungere o prolungare i vari momenti di silenzio con il cronometro in mano, si tratta di educarsi progressivamente a che tutta la celebrazione sia attraversata da quella calma che fa della liturgia un’esperienza di pace e di riposo nello Spirito.

Come ricordava il cardinale Ratzinger, predicando gli esercizi spirituali a Giovanni Paolo II, “tutte le cose grandi iniziano nel deserto, nel silenzio, nella povertà. Non si può partecipare alla missione di Gesù, alla missione del Vangelo, senza partecipazione all’esperienza del deserto, della sua povertà, della sua fame[…]. Chiediamo al Signore che ci conduca e ci faccia trovare quel silenzio profondo in cui abita la sua Parola” (Il cammino pasquale, p. 10)